Kengiro Azuma Goccia Umana

Esattamente quattro anni fa ero a Roma in vacanza per visitare i Musei Vaticani.
Accaldato e stizzito dalla folla all’interno della Cappella Sistina decido di recarmi subito presso la Collezione d’arte religiosa moderna,meno affollata della precedente.
Ricordo di aver scattato molte fotografie senza fermarmi troppo ad osservare le singole opere. Oggi,riordinando i vari files.ritrovo le foto fra cui questa immagine: “Goccia d’Acqua, Ciclo Della Vita”  di Kengiro Azuma.
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Goccia d’Acqua, Ciclo Della Vita
Kengiro Azuma
(Yamagata 1926 – Milan present)
2011
Bronze and wood; 80 x 100 x 90 cm
Vatican City, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Contemporanea

Kengiro Azuma, classe 1926, cresce in una modesta famiglia di fonditori di bronzo, che si trasmette la bottega da 12 generazioni di padre in figlio, viene educato a rispettare tradizioni, valori e doveri.
A 19 anni entra nei gruppi speciali d’assalto” kamikaze” come pilota da caccia dell’Aviazione della Marina Imperiale giapponese durante la seconda guerra.
Deluso dalla sconfitta della guerra, sostituisce l’arte all’amor di patria, lo stato ideale dove ricercare forme dell’esistenza.
 
“La goccia” testimonia il ciclo perenne della vita umana, paragonata al ciclo di vita dell’acqua che dapprima diventa goccia, bagnando la terra, successivamente evapora in cielo per poi ritornare goccia e ricadere nuovamente sulla terra
 
Appare chiaro fin dalle sue prime opere il richiamo della filosofia zen, la continua ricerca del vuoto che caratterizza l’essere umano, testimoniato nella Goccia da alcuni solchi che si aprono sulla superficie perfetta dell’opera.
 
«È stato un percorso lento a ritroso nel tempo. Sono tornato alle origini culturali giapponesi, alla filosofia Zen, per elaborare un processo creativo basato su premesse spirituali prima che estetiche, quando ho capito che mi interessava rendere visibili le forme dell’esistenza, partendo dal concetto di “MU”, che nella lingua giapponese significa vuoto, assenza.“MU” è la parte invisibile dello “YU”, il pieno, il presente e il visibile.
Mi sono concentrato sulla dialettica tra finito e non finito, spirito e materia.
La mia scultura a forma di goccia d’acqua racchiude diversi significati. Solidifica quell’istante fugace tra essere e non essere.
La goccia d’acqua contiene il ritmo perenne della vita: è una forma perfetta simbolica che condensa il concetto di liquidità e solidità, tende alla Terra e la nutre e poi diventa vapore acqueo, e i buchi e i solchi catturano la luce sul vuoto, fanno palpitare di vita la scultura»
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Sten Lex e Eltono alla Galleria Doppelgaenger

Sten LexOramai i miei rientri in Puglia si fanno sempre più frequenti. Anche il tempo libero a mia disposizione è aumentato,tuttavia la malinconia e le incognite per il mio futuro lavorativo non mi permettono di godere a pieno di questo periodo.

Fortunatamente vengo a sapere di alcune mostre presenti a Bari,tra le quali quella di Eltono e Sten Lex presso L’Associazione Culturale Doppelgaenger, all’interno di Palazzo Verrone nel cuore del centro storico di Bari.

La Street Art purtroppo è ancora legata, soprattutto qui da noi, a dei preconcetti che la vedono come qualcosa di diseducativo, ed è un vero peccato. Ci sono molte strutture architettoniche che verrebbero sicuramente valorizzate con interventi da parte di validi artisti Street. In effetti, l’architettura ha ormai perso gran parte della valenza artistica che aveva nei secoli passati: la Street potrebbe contribuire a ravvivare i palazzi moderni, che sono troppo grigi. Ma questo proprio con una sinergia a livello progettuale, sin dall’inizio.

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Sten e Lex (diminutivi di Stephan e Alex N. d. A.) sono considerati tra i primi diffusori dello “stencil graffiti”  nell’ambito della Street Art in Italia. Girando per i quartieri di San Lorenzo e Pigneto a Roma, si possono ammirare le loro straordinarie opere che arricchiscono e contribuiscono a rendere vive ed avvolgenti queste vie della città; anche presso la Galleria Doppelgaenger le opere di Sten Lex risvegliano le pareti.

Se da un lato troviamo gribouillis, dall’altra è possibile apprezzare sperimentazioni sia variopinte che monocromatiche.
I colori che queste opere sprigionano sono travolgenti, avvicinandosi ad esse si scopre che l’esplosione cromatica è creata con frammenti di  poster ritagliati e incollati.HVEB9902

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La nostra arte è imposta e violenta. Non abbiamo la pretesa di decorare la città.

Se avessimo il rispetto della città non faremmo quello che facciamo.

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Ad avermi colpito è anche la “finitezza” delle opere data dalla tecnica dello “Stencil Poster”. Si parte dal poster con l’immagine il quale viene poi ritagliato come uno stencil ed affisso al muro come un manifesto. Col tempo e per merito degli agenti atmosferici il poster si deteriora per lasciar spazio all’immagine impressa sul muro. Solitamente restano attaccati alcuni brandelli di poster che non sono altro che residui della matrice.

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Dipingendo sui muri di una città partecipi, in qualche modo alla sua evoluzione, te ne appropri e gli interventi che apporti la cambiano solo in maniera temporanea. Solo una generazione romana si ricorderà di chi furono Sten e Lex.

In un contesto postmoderno come il nostro, caratterizzato dal tramonto di tanti progetti di comprensione dell’essere che avrebbero dovuto orientare l’esistenza del singolo e della società,  ripensare il problema della finitezza davanti alle opere di Sten Lex diviene quasi spontaneo e immediato.

A questa problematica esistenziale le opere di Eltono sembrano lì appositamente per indicarci la via. L’artista francese infatti propone bassorilievi di legno che riproducono frammenti della città vecchia barese. I “percorsi aleatori”sono stabiliti dal lancio di un dado e resi sotto forma di intrecci di linee a tinte piatte, in due o tre dimensioni.

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Prima di andarmene vengo esortato a visitare la terrazza, dove il collettivo belga degli Hell’o Monsters ha sapientemente decorato le pareti con figure ermetiche e bizzarre. Sembrano dei geroglifici egizi che però vengono quasi desacralizzati attraverso la combinazione con simboli contemporanei come “smile” ,che li rendono più diretti ed immediati.

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Chronic,un film per medici ammalati


Più volte mi viene domandato perché mai uno dovrebbe scegliere di fare il medico. Credo non esista una risposta univoca ma in molti converranno con me che la scelta sia prevalentemente mirata a fare del bene. Ma le ragioni reali del perché si scelga questo percorso albergano molto spesso nella nostra parte più profonda,quella che tanto ci affatichiamo a nascondere e a reprimere,che affonda le sue radici nel nostro passato.

Michel Franco,che nel 2012 vinse il Certain Regard di Cannes con Después de Lucía, ci regala una nuova pellicola incentrata sui sensi di colpa e sulla morte.

David Wilson (Tim Roth) è un infermiere dedito all’assistenza domiciliare di pazienti terminali e cronici.Il suo accudimento,che sin da subito si manifesta in perfetta empatia con i suoi pazienti,viene immediatamente esasperato in contatti fisici e conforto. L’atteggiamento di David viene svelato passo passo nel corso del film,mostrando un passato fatto da separazioni e lutti. Egli dunque trasforma inconsciamente i propri pazienti in membri virtuali della propria famiglia: mogli, fratelli, madri. Che per merito di questo espediente tenta di far rivivere o mantiene in vita.

Nel corso del film non vi sono numerosi colpi di scena,ma un senso di malinconia e malessere ci pervade. Non sono solo le immagini “spietate” dei pazienti alle prese con la propria morte ad infierire sullo spettatore,bensì la totale assenza di momenti di pausa,come dovrebbe fisiologicamente avvenire fra un paziente e l’altro per un qualsiasi medico/infermiere per tentare di prendere le debite distanze dalla malattia.

Questa continuità di malessere esistenziale viene perfettamente incarnata da Tim Roth. Gli incontri con la figlia e il jogging sono solo un diversivo,che non allentano minimamente le sofferenze del protagonista (e le nostre).

Emblematica sarà la scena quando,seduto solo al bancone di un bar,una giovane coppia decide di offrigli da bere per includerlo nel loro festeggiamento di nozze. Anche qui non risparmierai i novelli sposi dalla sua profonda depressione citando sua moglie e di come sia morta. 

Il lavoro per David diviene un contrappasso dantesco dove l’occuparsi dei pazienti e l’abnegazione di sé diventano l’unica “soluzione” al dolore. La tanto agognata redenzione appare lontana e irraggiungibile,ma noi spettatori sappiamo bene che questa è solo un’ombra che finirà con l’inghiottirlo definitivamente.

Mare Morbido e Naufraghi

 

Mare Morbido Mariantonietta Bagliato

 

Per diversi anni ho pensato che le gallerie d’arte contemporanea non avessero abbastanza spiegazioni delle opere esposte. Osservavo senza grosso entusiasmo tutto quello che non riuscivo a capire. È difficile approcciarsi ad un’opera d’arte, così come è difficile approcciarsi ad un altro o a se stessi. Ci sono tantissime barriere che innalziamo ancor prima d’incontrarci. Piano piano ho capito che per poter comprendere quello che vedevo dovevo spogliarmi di tante cose,cose difficili da togliere,che magari rimettevo subito addosso una volta distolto lo sguardo dall’opera. In questi ultimi anni sono cambiato molto. Adesso quando entro in Galleria non leggo neanche il nome dell’artista,corro subito all’opera e inizio a scavare dentro di me.

“Le letture, le opere degli altri artisti sono un po’ come le chiavi della macchina: permettono di mettere in moto ma poi devi avere l’auto e la benzina da metterci dentro per poter fare dei chilometri.”

Vinicio Capossela

Una volta ad un concerto di Vinicio Capossela fui turbato da una sua canzone chiamata      SS dei naufragati. Parlava del capitano di una nave che decideva di virare dritto verso la morte,portando con sé tutto il suo equipaggio. La presenza dal Coro della Cappella di S. Maurizio di Milano e la sua contestualizzazione ai fatti di cronaca di immigrati rendevano il tutto più funereo e cupo. È straziante pensare a quante vite siano affondate nel mare, a quanti ogni giorno combattono per riuscire a ritagliarsi un piccolo spazio nel mondo.

Quando sono entrato nella stanza con questo mare di cuscini mi sono sentito un naufrago sulla terraferma. Ho pensato a quante volte sono salpato per cercare qualcosa di meglio e a quanto ogni volta mi sentissi solo ad affrontare tutto. Questa cosa mi commuove ancora adesso mentre scrivo. Fortunatamente i colori dei cuscini hanno interrotto tutti questi pensieri e ho cominciato come un bambino a cercare quello che più mi rappresentasse. Quando alla fine mi sono trovato,sono tornato a vedere il mare e ho sorriso perché non ero solo.

Mariantonietta Bagliato

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ZDZISŁAW BEKSIŃSKI 1

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Sono passati esattamente 12 anni da quando Zdzislaw Beksinski è stato rinvenuto morto  nel suo appartamento a Varsavia, era il 21 Febbraio. Con ben 17 coltellate due delle quali si sono rivelate fatali. Robert Kupiec ,il figlio del suo custode, ha sottratto al mondo un artista di fama internazionale. Le opere di Beksinski continuano sempre ad incantarmi, c’è qualcosa di perturbante nelle sue opere,un misto di familiare e sconosciuto che costringe a coprirsi gli occhi con le mani e allo stesso tempo a spiare fra le fessure delle dita. Il piacere dell’orrido che alberga in ognuno di noi, Beksinski lo rievoca come uno sciamano fregandosene dei buoni costumi e delle regole del vivere civile. La società o noi stessi per timore reprimiamo queste pulsioni animalesche e abiette, cosicché l’unica via per farle esplodere risiede nelle profondità oscure e recondite della nostra anima. Se credete però che Beksinski fosse un sadico o un pazzo vi sbagliate di grosso, nonostante venga più volte paragonato ad Alfred Kubin nei suoi dipinti è possibile intravedere una forte umanità, talvolta nascosta dalla coltre nebbiosa post-apocalittica.

38705f8b395c93dd69effa058356e47cNasce a Sanok, in Polonia, il 24 febbraio 1929, inizia i suoi studi superiori in una scuola commerciale i quali proseguono nonostante l’occupazione tedesca.Suo padre è ispettore, suo nonno Mathieu un imprenditore edile fondatore di una fabbrica di vagoni. Nel 1947 dopo la liberazione e sotto le pressioni del padre decide di iscriversi alla facoltà di Architettura presso L’Accademia di Cracovia. Nel corso di questi anni si innamorerà di Sophie Stankiewicz la quale diventerà ben presto sua moglie. Nel 1952 si laurea in Architettura e inizia subito a lavorare in un’impresa di costruzioni come soprintendente di un cantiere: un lavoro ricco di scadenze che ben presto finirà con l’odiare. Egli inoltre lavorerà come designer di autobus per una fabbrica automobilistica.

Solo nel 1958 inizierà ad occuparsi di arte non ancora come pittore bensì come fotografo, rivelandosi un artista innovatore nell’austera Polonia comunista con uno stile  surreale-espressionista. Una delle sue foto più famose “Corsetto di Sadist” non solo mostra i gusti di Beksinski per i temi sadomaso ma pone le basi per quella che sarà la sua intera visione artistica.

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Zdzisław Beksiński, Sadist’s Corset, 1957, National Museum in Wrocław, Bosz Publishing House

L’opera raffigura un corpo femminile in un modo che si discosta dal nudo tradizionale. Il personaggio è lontano dall’obiettivo e viene mostrato in modo frammentario, il volto e le gambe non sono visibili, il corpo è legato con una corda che crea una rete irregolare. Qualcosa frammenta il corpo in forme in ulteriori forme geometriche, probabilmente l’impronta di una sedia. 

L’uso di questa tecnica surrealista  non sarà un esempio isolato nell’arte del Beksinski. Egli ha predilezione verso soggetti singolari come uomini e donne con il volto bendato, visi deturpati o cancellati con l’aiuto delle tecniche di fotomontaggio, paesaggi desolati, bambole mutilate che lo accompagnerà in tutte le sue opere. La fotografia diviene per Beksinski un mezzo molto importante per la sua manifestazione artistica.

Periodo Barocco

Un momento decisivo per il suo profilo artistico è stato l’anno del 1957, quando incontra  Bronisław Schlabs e Jerzy Lewczyński e con i quali per 3 anni formerà un gruppo artistico informale dove potersi scambiare idee sulle proprie letture filosofiche incentrate per lo più sull’esistenzialismo e sui classici contemporanei come Kafka, Gombrowicz o Schulz. Nel 1958  la sua prima mostra a Poznan. Essendo poi egli  membro dell’Unione degli Artisti-Fotografi Polacchi parteciperà a numerose mostre di fotografia in Polonia e all’estero.
Questo periodo, che proseguirà fino al 1965, verrà definito dallo stesso Beksinski come “periodo barocco“.

Nei primi anni ’60  la decisione di abbandonare la fotografia  deluso dalle limitate possibilità di alterare le immagini da lui catturate. La fotografia sembrava vincolare la sua immaginazione e così si dedicò al disegno e alla pittura, campi che come lui stesso affermava gli offriranno di “fotografare i sogni”. Si avvicinò anche alla scultura ma ben presto capì che solo la pittura poteva dare massima voce alla sua arte.

Quando le opere di Beksinski vennero esposte durante il congresso AICA (Association internationale des critiques d’art) nel 1960 attirarono l’attenzione di uno dei presidenti che era all’epoca anche  direttore del Guggenheim Museum di New York. Gli fu offerta una borsa di studio di sei mesi negli Stati Uniti ma egli conscio e sicuro del proprio percorso creativo decide di rimane a Sanok. La mostra organizzata da Janusz Bogucki all’Old Orangerie a Varsavia nel 1964 diventa il primo significativo successo della sua carriera.

Periodo Fantastico

Dalla metà degli anni ’60 in poi diviene molto popolare in Polonia e non appena inizia a conquistarsi i suoi primi successi come pittore viene licenziato dalla fabbrica di autobus nel 1967.Da qui in avanti il successo artistico migliorerà la sua situazione finanziaria e gli permetterà di vivere solo grazie alle sue opere d’arte.

Nel 1970 mentre si recava all’università a bordo della sua auto, viene travolto da un treno in corsa in corrispondenza di un passaggio a livello non custodito. Ne esce con 3 mesi di coma e altrettanti di convalescenza. Al completo recupero Bekinski afferma di aver visto l’Inferno e di doverlo rappresentare per non impazzire.

Nel 1972 J. Bogucki presenta ancora una volta i dipinti di Beksinski a Varsavia, l’artista sorprende pubblico ancora una volta allontanandosi completamente  dall’avant-grade. Le opere che vennero esposte, per lo più paesaggi e composizioni figurali introducono nel cosiddetto del “periodo di fantastico” che lo consacrerà come artista contemporaneo. I temi predominanti in queste opere oniriche sono paesaggi infernali inquietanti, figure mostruose e l’architettura ultraterrena. Il percorso artistico da lui segnato è in netta contrapposizione a tutte le correnti e tendenze avant-grade del tempo. Beksinski ottiene ardenti sostenitori e altrettanto feroci critici e avversari, il suo carattere molto riservato e schivo lo tenne sempre lontano dai riflettori. Nella vita privata l’artista è conosciuto per i suoi modi gentili, per la sue piacevoli conversazioni e per il suo senso dell’umorismo. 

Nel 1975 una giuria di critici d’arte nazionali lo definì il miglior artista dei primi trent’anni della Repubblica Popolare Polacca.

Nel 1977 le autorità municipali prevedono di demolire la casa di famiglia dell’artista. Beksinski decide così di trasferirsi a Varsavia, e di non portare con se una selezione dei suoi dipinti considerati troppo personali o insoddisfacenti ai quali da fuoco. Opere di cui non rimane alcuna traccia.

Periodo Gotico

A Varsavia ottiene un contratto con Piotr Dmochowski, un mercante d’arte in Francia, il quale gli propone di lanciare la sua arte in Occidente.Lo sviluppo della cooperazione però si trasforma ben presto in conflitto quando B inizia a deviare dal metodo di pittura  caratteristico  de il ‘periodo fantastico‘ che lo ha portato tanto successo. Le figure antropomorfe e i capi di una o più persone diventano i temi delle sue opere. I paesaggi iniziano a scomparire e se presenti sono privi di quella visione onirico-illusoria che tanto li aveva contraddistinti. Si concentra maggiormente sui mezzi pittorici a discapito dei temi precedenti. A volte il soggetto principale si separa dallo spazio pittorico come una scultura tridimensionale grazie all’utilizzo spasmodico di linee ben inserite. Inizia il “periodo gotico“.

Nei primi anni ’90 Beksinski acquista una fotocopiatrice e ritorna dopo anni al disegno, ed è attraverso le nuove tecnologie quali il computer e il foto-ritocco che egli ha la possibilità di proseguire i suoi studi. Negli ultimi anni infatti (1998-2005) si dedica alla computer grafica. In un certo senso ritorna alla fotografia, in particolare al fotomontaggio. Le sue opere vengono create esclusivamente attraverso elaborazioni di sue fotografie  e mai dai propri disegni. La possibilità di bypassare la camera oscura fa ritornare Beksinski agli studi del “periodo fantastico“. 

Morte e Depressione

Alla fine del 1990 Beksinski attraversa il periodo più tragico della sua vita. Sua moglie Zofia muore di cancro nel ’98; solo un anno dopo alla vigilia di Natale il figlio Tomasz si suicida all’età di 41 anni. Era uno stimato giornalista musicale, molto conosciuto per aver condotto in radio quali “Troika” e “Radio Polonia”. Il suo impegno fu veramente cruciale nella diffusione di musica rock nella Polonia comunista. Partecipò anche alla traduzione di tantissimi film quali:  Monty Python’s Flying Circus, Il silenzio degli innocenti, Wild at Heart, Pet Cemetery, ecc…

Beksinski, Caduto in depressione si rinchiude in casa rifiutando ogni contatto con l’esterno mentre le sue opere sono sempre più apprezzate in tutto il mondo.
In Giappone conquista il primato di essere l’unico artista contemporaneo polacco presente nelle prestigiose collezioni dell’Osaka Art Museum.

La sua vita termina il 22 febbraio 2005, accoltellato dal figlio del maggiordomo,Robert Kupiec che all’epoca aveva solo 19 anni. Kupiec si era recato da Beksinski per chiedergli circa 100 dollari,ma quest’ultimo si era rifiutato. Beksinski muore dopo 17 coltellate al torace e alla testa. Il 9 Novembre 2006 Kupiec viene condannato a 25 anni di carcere.

Ad oggi non riesco ancora a spiegarmi come mai tanta brutalità abbia cancellato in pochi anni l’intera famiglia di Beksinski, nonostante tutto in molti sono quelli che ogni giorno rendono omaggio alla sua arte: se vi trovate a passare nel deserto Black Rock del Nevada,troverete una croce in classica forma a T installata per il celebre Burning Man.

Nel prossimo articolo analizzerò le influenze di Beksinski nella musica metal. Vi basta aggiungere un like alla pagina Facebook Small Change Review

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Best Black Metal Albums of 2016

 

 

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Come di consueto siamo giunti al termine di questo interminabile 2016,del quale salverei davvero poche cose. Per me è stato un anno carico di fatica e sofferenza,premiato solo dalla laurea in Medicina e Chirurgia. Fortunatamente ad esclusione delle delusioni che permeano la mia esistenza quest’anno in ambito musicale ho potuto davvero dare fondo ai miei risparmi per l’acquisto di innumerevoli vinili. In questa top 10 ho deciso di premiare molte band emergenti o comunque band che sono poco conosciute. Ritengo oramai che il mercato sia saturo e una grossa fetta viene immeritatamente occupata da carcasse fetide di bands storiche che oramai non hanno più nulla da comunicare. L’odierno panorama offre davvero tante realtà,spetta solamente a noi il compito di interrompere la nostra frenetica quotidianità e ritornare “giovani” a quando non ci facevamo problemi di tempo nell’ascolto di uno o più album nella stessa giornata.

Vi ricordo che potete mettere like alla pagina Facebook Small Change Review dove trovate un link diretto allo streaming audio di questi dieci album e anche le classifiche dei top black metal album degli anni passati. Come sempre vi invoglio ad un feedback,quali sono stati gli album che vi hanno conquistato quest’anno?

 

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10 – Earth & Pillars – Pillars I

Gli italiani Earth and Pillars continuano a battere il metallo finché è “freddo”. Nel giro di due anni han tirato fuori due album che risuonano senza alcun compromesso. Rispetto al suo predecessore non vi sono sostanziali differenze di stile. Il loro sound e cupo e claustrofobico,mi ricordano terribilmente gli svizzeri Dark Space. Solo che gli E&P non necessitano di andare nello spazio profondo per generare il loro sound glaciale. Paesaggi innevati senza traccia umana alcuna sono il tema fondamentale di questo ottimo full. Ma state attenti ad addentrarvi in queste foreste innevate poiché il gelo qui regna sovrano e abbraccia tutto fino all’ultimo respiro.

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9 – Uada – Devoid Of Light

Gli Uada sono una neonata band americana che reinterpreta in chiave più melodica i classici canoni black metal,ricordando nei momenti più melodici i Satyricon di “Nemesis Divina” o i Dissection.  Sebbene il primi riffs dell’album mi richiamino alla mente album oramai storici come “With Hearts Toward None I” e “Further Down The Nest” dei Mgla l’ascolto è molto coinvolgente. La voce tipicamente black si alterna con qualche growl impreziosendo l’ascolto e rendendolo quasi mai noioso. In fin dei conti gli Uada giocano bene la prima mano a loro disposizione,regalandoci un album di “classico” black metal del 2016 dove la produzione rende tutto più limpido e di facile ascolto. Aspettiamo di vederli crescere.

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8 – Wode – Wode

I Wode sono attivi sin dal 2010,ma solo oggi decidono di regalarci il loro primo Full e lasciatemi dire è un album che si lascia ascoltare senza alcun intoppo. Non c’è nulla di estraneo al Black Metal in chiave Svedese. Troviamo blast-beat esasperati, scream malsani e putridi con melodie di chitarre taglienti come lame di rasoio. Sin dalla prima traccia “Death’s Edifice” è possibile presagire che si tratterà di un album senza attimi di respiro. Non sono presenti grosse innovazioni se non qualche soluzione,che secondo me potrebbe essere lontanamente accostata all’Hardcore,tuttavia possiamo affermare con certezza che quello dei Wode è un album volutamente semplice che punta più alla sostanza che all’etere.

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7 – Vanhelga – Ode & Elegy

Per chi,come il sottoscritto, è amante del DSBM made in Svezia quello dei Vanhelga sarà sicuramente l’uscita per eccellenza del 2016. Sono passati solo due anni  Längtang, il quale ha segnato un punto di svolta nel loro sound. Il suono nel corso degli ultimi due album è stato addomesticato e le chitarre grezze e putride Höst sono un lontano ricordo oramai. All’intransigenza è stata accorpata una maggiore melodia in acustico con numerose odi e litanie. Tuttavia se ritenete che il sound dei Vanhelga si sia rammollito vi consiglio di ascoltare brani come “Abstinensens dystra tongång” o “Disharmoni”.

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6 – Urzeit – Anmoksha

L’anno scorso nella mia annuale classifica dei migliori dischi black metal, avevo riservato il secondo posto alla band Akhlys con The Dreaming I. Il loro sound ferale e acido mi aveva conquistato sin da subito. C’era qualcosa di maligno che andava ben oltre la musica. Con gli Urzeit c’è stata la stessa magia. Capitanati da A.L.N. (Mente dei Mizmor) il trio di Portland ci consegna un album che di certo passerà molto tempo sui giradischi degli amanti del genere. Anmoksha è un album che affonda le sue radici nell’idea indù del Moksha: la fuga dal ciclo karmico di morte e rinascita. Anmoksha, o senza Moksha, sarebbe allora la sensazione di non essere in pace, bloccato in un infinito ciclo dove il giorno si ripete inesorabile, anno dopo anno, vita dopo vita. Un saṃsāra senza fine. Questo album racconta dunque l’eterna esistenza di chi,nemmeno nella morte, riesce a ritrovare la pace con se stessi. Gran parte delle liriche sono incentrate sul senso di odio di sé che deriva dal tentativo di migliorare se stessi ed essere liberi del ciclo di rinascita, ma conoscendo la lotta è assolutamente inutile. La canzone “Bellisunya” può essere usata come riassunto dell’intero album: ‘E io non posso sopportare d’essere solo / non posso sopportare la vista di me stesso / sobrio, ubriaco, basso o alto / Sono ancora io … e io odio.

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5 – Void Omnia – Dying Light

Osservando diverse classifiche 2016 di grosse testate giornalistiche i Void Omnia non compaiono per nulla. Al contrario appaiono sempre le “solite” band che oramai si incancreniscono da decadi senza alcuna idea. In questa classifica come potrete apprezzare sono davvero poche le band “storiche” e la presenza dei Void Omnia in questo 2016 è stata fondamentale,tanto che era impossibile non includerli. La copertina è opera dell’artista Glen Schon che ha saputo abilmente richiamare il titolo dell’album. Vi è infatti una figura incappucciata che assiste ad un’esplosione di una stella dalle dimensioni planetarie in un cielo rosso nebulare. Il sound veloce e senza troppi freni dei Void Omnia mi ha ricordato lontanamente gli Spite Extreme Wing,anche se contenutisticamente siamo distanti anni luce,tuttavia non mancano gli spunti melodici con riffs che possono ricordare persino i Sargeist.

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4 – Throane – Derrière-Nous, La Lumière

La Francia sforna poche band black metal ma la maggior parte sono tutte molto particolari e con un sound personalissimo. A cominciare dal titolo ” Dietro di noi,la luce” non possiamo che aspettarci un album oscuro e soffocante. Il lavoro certosino di Dehn Sura  colpisce subito al cuore,catapultando l’ascoltatore in un mondo plumbeo dove la pioggia acida sbiadisce e corrode anche il metallo. Dehn Sora ha rivelato che il nome di questo progetto è nato da una combinazione di parole “trono” e “gola” (rispettivamente “Throne” e “Throath”),  ispirato dalla frase: “La gola è il trono di ogni nodo”. Allo stesso tempo, significa anche “lacrima” in un dialetto fiammingo. Del resto anche la copertina “parla” già a sufficienza. 

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3 – Wędrujący Wiatr – O Turniach, Jeziorach I Nocnych Szlakach

La Polonia ha una scena black metal davvero inimitabile. Ogni anno si formano band nuove e originali che non hanno nulla da invidiare a band main-stream che han costruito il loro successo dopo anni e anni di carriera. Ad oggi le uscite polacche sono state tantissime e tutte di gran qualità,nonostante mi venga davvero difficile stare dietro a tutte queste realtà, i Wędrujący Wiatr si sono imposti senza mezze misure nei miei ascolti del 2016. Sebbene alcuni li taccino di far parte del movimento Cascadian Black Metal,bisogna precisare che essendo polacchi questo appellativo non gli si confà del tutto. Infatti per C.B.M. intendiamo un movimento nato a Nord Ovest dell’Oceano Pacifico, Washington e Oregon che si rifà a tematiche naturalistiche. Vedi Wolves in the Throne Room, Alda, Ash Borer ecc… Tuttavia la dizione non è del tutto errata, infatti ritroviamo atmosfere individualiste pregne di malinconia tipiche di questo genere. Qui però il surreale ed onirico si scontra con un sound volutamente raw delle chitarre,tanto da permetterci di riconoscere il tocco dei WW in un qualsiasi contesto Atmospheric Black. Non lasciatevi impressionare dalla prolissità delle tracce,l’album,una volta iniziato, scorrerà senza intoppi sino alla fine per quasi 60 minuti di puro Atmospheric Black.

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2 – Mizmor (מזמור) – Yodh

Dietro a Mizmor si cela un oscuro personaggio tale A.L.N.  il quale mantiene con estrema costanza in tutti i suoi progetti il doom/sludge (Vedi Urzeit e Hell). I cinque brani di cui è composto l’album sono dei megaliti impolverati e neri che attendono maestosi l’ascoltatore. Siamo di fronte ad un sound maledettamente lento,una carcassa in eterna decomposizione che sotto al sole marcisce. Le chitarre sono fetide e martellanti mentre le urla di A.L.N. sono esalazioni tossiche  provenienti da cloache direttamente collegate con l’oltretomba. Il tutto, a seconda dei casi, inizia o sfocia in un climax furioso e tagliente. E’ come se delle creature uscite dal Necronomicon si risvegliassero in un grigio e torrido deserto e ti torturassero con lame arrugginite. L’Art-work stupendo è opera dell’artista Zdzisław Beksiński, il quale appare anche sulla copertina dei Wode.

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1 – Antimateria – Valo Aikojen Takaa

Dalla Finlandia con furore la one man band Antimateria si erge vittoriosa in questa classifica annuale. Le ragioni di questa “vittoria” sono svariate. Innanzitutto era davvero da tanto che non ascoltavo un album black così ricco di idee pur mantenendo un’attitudine al genere senza eguali. Apre una intro ambient che con l’inizio dei brani prende subito una piega più sinistra  ed estrema. La produzione raw fa ambientare subito l’ascoltatore negli anni novanta,senza mai cadere nello scontato o nel già fatto. L’alternarsi sapiente di atmosfere propriamente black con una voce infuriata a soluzioni più atmosferiche e riposate non annoia neanche per un attimo. In conclusione l’ascolto di Valo Aikojen Takaa passa troppo in fretta,tanto che vi ritroverete a premere play per una seconda volta senza neanche accorgervene.

 

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Jarno Custom Knives

Da un paio d’anni a questa parte ho iniziato ad appassionarmi ai coltelli,in realtà mi son sempre piaciuti, ed usandoli costantemente in quest’ultimo periodo ho cominciato davvero ad apprezzarne la loro utilità. Ricordo ancora il primo coltello che ho avuto,mi fu regalato dal mio padrino che vivendo molto lontano, me lo fece recapitare da mio padre il quale lo vedeva spesso. Era un semplicissimo Victorinox rosso,minuscolo, adatto alla mia età; aveva un coltellino,una lima e un ago per le reti. L’ho portato sempre con me fino a quando mi sono innamorato di una ragazza,la quale aveva una passione per gli oggetti piccoli. Morale della favola non ce l’ho più.

I coltelli, anche per la loro pericolosità hanno sempre generato in me un senso di fascinazione. Col passare degli anni la mia attenzione è ricaduta su un tipico coltello Finlandese, conosciuto come Puukko; questo coltello ha più di 2000 anni e per tutto questo tempo la sua forma è rimasta pressoché costante, viene impiegato per la caccia, per lo scuoio, per incidere il legno o per sfilettare  il pesce. Da sempre, e ancora oggi, i soldati finlandesi dotati di un Puukko, possono adoperarlo nei corpo a corpo o come baionetta su fucile d’assalto.

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Fucile D’assalto con Puukko

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Baionetta

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Anatomia di un Puukko

 

Ritrovare in  un oggetto inanimato come un coltello, un fidato compagno non è poi così semplice. Mi sono presto appassionato a questo tipo di coltelli, e ne ho subito acquistato uno che utilizzo tutte le settimane quando mi reco in montagna per girare nelle foreste o per quello che secondo me è il suo fine migliore:tagliare una bella bistecca! Essendo un coltello tradizionale dunque molto diffuso,il suo costo è contenuto specie se paragonato ad altri tipi di coltelli. Un’eccezione a questa regola è la reinterpretazione del celebre designer finlandese Tapio Wirkkala. Per diversi anni ho tenuto d’occhio le quotazioni di questo coltello e l’ho sempre desiderato ma il costo proibitivo mi ha frenato finché un giorno dopo tante ricerche sono riuscito ad aggiudicarmelo ad un prezzo davvero conveniente; il problema erano le condizioni del coltello stesso,che appariva molto usurato.

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Spinto dalla voglia di risistemarlo mi sono rivolto ad un coltellinaio specializzato in questo tipo di coltelli chiamato Jarno.Le sue opere mi hanno sempre affascinato e col tempo abbiamo stretto amicizia, chiacchierando e trascorrendo anche del tempo assieme. Un giorno sono andato a trovarlo nel suo laboratorio e mentre lui risistemava il mio nuovo Puukko ho colto l’occasione per approfondire  il suo rapporto con i coltelli con una piccola intervista che vi propongo qui.

 Qual è stato il tuo primo contatto con i coltelli?

I coltelli erano sempre presenti a casa della mia zia finlandese, fa parte della loro cultura. La vera “ossessione” è iniziata intorno ai sette anni quando sono andato nuovamente in Finlandia a trovare mio cugino e mi regalarono un Morakniv Classic 2. Lui ne aveva molti, aveva delle cassette di legno piene e quando andavo a trovarlo aprivamo queste cassette magiche ci caricavamo con coltelli che vi trovavamo all’interno e uscivamo a giocare. Devo dire però che i coltelli sono sempre stati presenti nella mia vita, anche quando andavo a scuola portavo sempre un coltellino nella tasca; erano sempre dei chiudibili,mi piacevano molto e pensavo che quelli a lama fissa fossero troppo grossi.Invece crescendo questa situazione si è invertita e mi sono ricreduto sui coltelli a lama fissa.

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Hai origini Finlandesi?

No,sono originario di Reggio Calabria. Mio padre appassionato di motociclette decise di chiamarmi Jarno in onore di Jarno Saarinen, celebre motociclista finlandese.

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Come hai iniziato a costruire coltelli?

Tutto è iniziato un paio d’anni fa quando sentivo il bisogno di fare un coltello a modo mio. Così,tramite un maestro coltellinaio di Reggio Calabria ho imparato le basi che servivano per poter iniziare. Abbiamo fatto solo un coltello assieme infatti il secondo ho cominciato a lavorarlo autonomamente. In seguito li ho mostrati ad un mio amico che possiede un negozio di coltelli il quale è rimasto molto colpito e ha deciso di provare a venderli nella sua bottega. Attualmente li vendo anche tramite internet.

Molti dei tuoi coltelli hanno il manico in ulivo,come mai questa scelta?

Per svariate ragioni, è un albero molto presente nella mia terra, ha un odore che a me piace molto,ma il motivo principale è perché abitavo a Lazzaro (RC) e lì avevo una casa fra mare e campagna dove c’erano tutti questi ulivi. Quando uscivo a giocare dovevo costruirmi delle armi e utilizzavo sempre i rami di ulivo che erano molto resistenti.

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Ho notato che sei specializzato sui coltelli a lama fissa piuttosto che sui chiudibili. Come mai questa scelta?

Per poter fare i chiudibili servono altre attrezzature,inoltre sono più laboriosi nella costruzione. Richiedono sicuramente più tempo rispetto ad un lama fissa e questo purtroppo rapportato al fine ultimo che è la vendita ne influenzerebbe il prezzo. Non è escluso però che io mi metta un giorno a realizzarli.

Dunque la vendita di coltelli non è solo un piacere ma un vero e proprio lavoro.

Io ho sempre lavorato nel settore delle vendite ma nel corso degli anni ho cambiato molte professioni. Ho cominciato vendendo microscopi per laboratori di analisi intorno ai 22 anni, dopo tre anni mi sono annoiato e ho deciso di andare in Inghilterra dove ho lavorato per la 3M, ma ho subito mollato visto che era una “copia” del lavoro che facevo prima. Così ho iniziato a lavorare come guida subacquea per un po di tempo e poi come rivenditore di motociclette per la Honda ed in seguito per la BMW. Ho intrapreso la carriera di agente immobiliare fino al 2011 dopo di che per via della crisi economica ho cercato di fare quello che capitava per mantermi e solo due anni fa ho ripreso a fare coltelli.

Quindi non solo una passione ma anche una necessità.

Beh possiamo dire che i coltelli “uniscono” e questo lavoro messo a confronto con altri mestieri risulta per me molto piacevole e mi permette di realizzarmi da un punto di vista creativo. Certo, la necessità di un guadagno ora come ora è piuttosto essenziale vista la mia condizione economica, ma nonostante tutto credo che anche se fossi stato ricco mi sarei cimentato in questo campo.

 

Ho voluto riportare alcune foto dei lavori di Jarno,sicuramente una piccola parte della sua intera collezione. Fra i materiali da lui utilizzati troviamo l’ebano,l’ulivo e la radica.

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Mi piace come questi coltelli vengano valorizzati nelle varie escursioni, che li rendono degli oggetti utili e non dei suppellettili.

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Jarno che fa canyoning

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Lavorare la legna per accendere un fuoco,tagliare una cima oppure una soppressata sono azioni che rendono questo coltello del tutto personale. Un’interpretazione che potremmo definire “meridionale” del coltello; mi viene infatti da ribattezzarlo  “Puukko Calabrese“.

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Se volete acquistare o semplicemente siete curiosi di vedere altri suoi lavori, potete visitare la sua pagina FB: Jarno Custom Knives

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Paranoid, storia di una copertina

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Era il lontano 1970 quando uscì Paranoid. Nei decenni successivi alla sua pubblicazione iniziale è stato considerato da molti come il miglior album dei Black Sabbath e secondo alcuni è il migliore album heavy metal di tutti i tempi. Certificato con dodici dischi di platino (uno in Canada, quattro negli Stati Uniti e sette in Gran Bretagna) e tre d’oro e contribuì alla nascita degli stilemi dell’heavy metal.  Un ottimo risultato considerato che fu registrato in soli cinque giorni. Ciò che mi ha sempre incuriosito di quest’album è la copertina, una specie di “guerriero” con una sciabola e scudo che spunta da dietro un albero. Ho sempre pensato: < cosa cazzo c’è di paranoico in questa immagine?> Dopo varie ricerche ho trovato un’intervista al bassista Geezer Butler che spiegava:1365531946mzd

“L’intera storia di come creammo quella canzone è buffa. Quando terminammo le registrazioni il Produttore ci disse che mancava solo un brano per poter completare l’album, così Tony [Iommi] suonò il riff di Paranoid e noi semplicemente lo seguimmo. La situazione cambiò quando la Black Sabbath’s Record Company decise che, poiché secondo loro, Paranoid era la canzone più bella dell’album, doveva essere anche il titolo dell’LP. Inizialmente volevamo chiamarlo War Pigs per l’impatto della guerra in Vietnam, infatti sempre la BSRC aveva scelto la copertina in linea per questa canzone; tant’è che quando ci proposero quella che poi è diventata la copertina di Paranoid non eravamo affatto contenti, pensammo fosse orrenda, ma non potevamo fare altrimenti. Per noi la copertina era brutta sin dall’inizio però era coerente a War Pigs, quando poi è diventato Paranoid ha completamente perso anche quel briciolo di senso che gli restava.

 

 

Aokigahara la foresta dei suicidi

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Circa due anni fa usciva per l’etichetta discografica Art of Propaganda il secondo full-length degli Austriaci Harakiri For The Sky intitolato “Aokigahara”. L’album è ancora fra i miei ascolti preferiti ma solo qualche settimana fa ho scoperto a cosa si riferisse il titolo.

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Alle pendici del monte Fuji in Giappone esiste un’enorme foresta chiamata per l’appunto Aokigahara. In seguito all’eruzione del monte Nagaoyama nell’864,si formò una gigantesca colata di lava, responsabile di un terreno cavernoso grazie al quale numerosi alberi oggi crescono rigogliosi. Una delle caratteristiche fondamentali della foresta è di essere contornata da rocce laviche che rendono l’ambiente protetto da raffiche di vento,dunque stranamente silenzioso. Ad oggi è una meta molto ambita da esploratori e escursionisti,ma già nel lontano XIX secolo nella foresta si praticava l’ubasute ovvero una antica usanza Giapponese adoperata nei periodi di carestia consistente nel lasciare morire un membro anziano o infermo della famiglia per non pesare sui membri attivi e giovani del nucleo familiare. Si riteneva che questi defunti si trasformassero in yūrei (“fantasmi”). Questa credenza è ancora ben radicata in Giappone dove si ritiene che siano proprio gli alberi ad essere permeati da queste entità maligne tali da indurre ogni visitatore a perdersi una volta dentro la foresta.

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A rafforzare tali credenze è l’impossibilità di utilizzare la bussola,la quale una volta dentro Aokigahara impazzisce letteralmente. Ovviamente sappiamo che tale fenomeno è causato dai giacimenti di ferro di origine vulcanica.

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La foresta è quindi già da tempo meta di suicidi,si stima infatti che ogni anno ci siano almeno  una settantina di morti,ma i dati sono in netto incremento, infatti è il luogo con il più alto tasso di suicidi in Giappone. Esiste anche la linea rapida Chūō e le scogliere di Tōjinbō. Nonostante l’istituzione di una guardia forestale appositamente creata per prevenire i suicidi e ripulire la foresta dai corpi di chi è riuscito nell’intento,il numero effettivo di morti non è esattamente calcolabile, poiché la foresta è così vasta che ritrovare i cadaveri è davvero un’impresa.

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Aokigahara è diventata ancora più popolare grazie al romanzo di  Seichō Matsumoto che narra le vicende di due amanti che finiscono entrambi suicidi nella foresta, o ancora del celebre  “The Complete Manual of Suicide” di Wataru Tsurumi. Dove l’autore descrive con dovizia di particolari tutti i possibili metodi di suicidio. In questo libro è anche presente una descrizione delle zone di Aokigahara meno trafficate,dove quindi è possibile compiere in totale isolamento il gesto senza che il proprio corpo venga poi rinvenuto. Si ritiene che questa intensa ondata di morti sia causata dal cosiddetto effetto Werther, ovvero si è visto il fenomeno dei suicidi aumentare a causa dell’effetto mediatico di questi libri e dei notiziari.

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Per tali ragioni l’ingresso alla foresta contiene numerosi cartelli che tentano di dissuadere i visitatori dalle loro intenzioni.

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“La vita è qualcosa di prezioso che ti è stato donato dai tuoi genitori”

Pensate ai vostri genitori, fratelli e ai vostri figli ancora una volta.
Non soffrire in solitudine

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Da diversi anni a questa parte la foresta è stata ripulita. I corpi vengono prelevati e trasportati in un edificio apposito dove dopo aver tirato a sorte con il Janken (sasso,carta e forbici) uno della guardia forestale deve passare la notte nella medesima stanza con i cadaveri. Si ritiene che lasciare i corpi incustoditi durante la notte sia di cattivo auspicio per lo spirito del defunto (yūrei),il quale urlerebbe mentre il corpo si alzerebbe in cerca di compagnia.

Nonostante gli intensi sforzi della guardia forestale i suicidi continuano a verificarsi.

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Intervista a laCasta

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Capita sempre più spesso che io mi renda conto che la nazionalità dei miei ascolti musicali sia italiana. Non fraintendetemi, non è una scelta e nemmeno sterile campanilismo,semplicemente un caso. Un disco Italiano resta sempre più tempo sul giradischi di uno straniero (salvo dovute eccezioni). Fra le tante bands degne di nota da qualche tempo si è aggiunto un nuovo nome,quello di laCasta. Una giovane band pugliese che rapidamente hanno ottenuto grandi consensi presso gli amanti del metal. Qualche giorno fa ho avuto la fortuna,nonché il piacere di intervistare Mario Morgante,chitarrista del gruppo:

Ciao Mario, grazie per questa splendida opportunità, vuoi introdurci la tua band?

Innanzi tutto grazie a te che sei un amico e ci hai messo a disposizione del tuo tempo per scambiare qualche chiacchiera e condividerla nel tuo particolare blog. Arrivando alla domanda, i laCasta nascono tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 per la precisione a Monopoli (comune della provincia di Bari), dall’idea inizialmente soltanto di tre membri della band, cioè io alla chitarra, Marino Martellotta al basso e Tommaso Cavallo (Sbrough) alla batteria; in un secondo momento si è inserito anche Alessandro Donnaloia alla voce ed effetti dark ambient.

Il vostro nome è molto curioso e rimanda a tematiche quanto mai attuali. Pensando al vostro genere (Blackened Hardcore) viene quasi da pensare ad un ossimoro!

Simpatica osservazione! Certo sarebbe un ossimoro se “casta” stesse per “pura”… invece nel nostro caso questa parola indica i gruppi di potere che dominano il mondo, condizionandolo oltre ogni misura e in maniera sempre crescente e a volte devastante. Il nome della formazione prende quindi spunto dal sistema che ha circondato e tuttora circonda più che mai l’intero pianeta, dove proprio le caste hanno l’intero potere di manipolazione delle sorti sociali. La maggior parte delle nostre liriche, vomitate con disprezzo nei nostri  brani, trattano questo flagello ormai instauratosi al centro di tutto. Ecco perché, come segno di riluttanza, i nostri ‘rituali’ musicali avvengono nell’ombra e per di più dando le spalle agli adepti del pubblico astante.

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Il vostro sound è un misto di Black Metal e Hardcore, è stata una scelta stilistica innovativa fatta a tavolino oppure vi è venuto naturale?

Il genere musicale che trattiamo, come hai appena detto tu, tende a fondere quella che è la scena più moderna dell’hardcore di stampo cupo, ma nello stesso tempo violento, con la scena black metal, dove riecheggiano potenti riff dal suono saturo e break martellanti che dominano l’atmosfera. Ma oltre a questa solida base musicale, possiamo dire di prendere in considerazione parecchie sfaccettature di generi e sottogeneri estremi, ecco come arriviamo ad un’oscura e caotica melodia di stampo “infernale”. Per quanto riguarda la scelta dell’abbinamento stilistico musicale, questa sicuramente ci è venuta abbastanza in maniera naturale ascoltando massicciamente gruppi della scena, ormai di riferimento, affermatisi già da tempo nel mondo.

Qual è il vostro background musicale? Di cosa vi nutrite?

Come appena detto, alla base di tutto c’è una grossa dose di black metal miscelata ad un hardcore moderno e per di più pesantemente influenzato da generi metal estremi; ma ispirazioni che passano dal doom, al punk, al grind, allo sludge, fino ad arrivare al più moderno concetto di post-metal, ci caratterizzano per il nostro attuale sound nero e accattivante. C’è da dire che amalgamare il tutto, sin dal primo istante, non è stato affatto difficile, anzi il feeling si è instaurato quasi naturalmente all’interno del nostro nucleo. Infatti bastano pochi sguardi tra noi, durante lo studio di un pezzo, che subito si stabilisce se portare avanti un determinato riff portante o meno.

Da pochissimi giorni è uscito il vostro primo videoclip per la canzone “No Hope”. Credo rappresenti appieno le tematiche da voi trattate. Surriscaldamento globale, epidemie, guerre, cadaveri in decomposizione… tutte conseguenze derivanti dalle caste, che accrescendosi a discapito degli altri lasciano solo terra bruciata. Chi è l’autore del videoclip?

 Le tematiche racchiuse nel videoclip ufficiale di ‘No Hope’, tra l’altro uscito in esclusiva su BlankTV, ripropongono visivamente quelle che sono tutte le tematiche e tutte le situazioni che ci sono vicinissime, come anche spiegato prima per quanto riguarda tutto il nostro progetto; compresa la fotografia in bianco e nero e il cinema tedesco espressionista, amato da tutti noi quattro della band. Ci siamo affidati dunque ad un mio amico fraterno, Nello Rosato di Fasano (Brindisi), che grazie alla sua professionalità tecnico-artistica è riuscito appieno a creare proprio quello che noi volevamo trasmettere; immagini shock con uno scorrimento a flash e a tempo di musica. Possiamo ritenerci piuttosto soddisfatti del lavoro ottenuto, anche grazie ai numerosi riscontri positivi che stanno arrivando un po’ da tutto il mondo.

Il vostro primo lavoro si intitola “Encyclia”. L’enciclica è una lettera pastorale del Papa su materie dottrinali, morali o sociali, indirizzata ai vescovi della Chiesa stessa e, attraverso di loro, a tutti i fedeli. Qual è il vostro messaggio ai “fedeli”?

Ci piace sempre precisare che l’antica espressione latina ‘Encyclia’ designa quella che ai nostri giorni viene chiamata ‘Enciclica’; tuttavia originariamente si riferiva anche ai concetti di ‘Generale’ o ‘Circolare’, come per l’appunto suggeriscono alcune delle simbologie riportate all’interno dell’artwork (Uroboro), nonché il particolare tipo di sviluppo dell’insieme dei brani (che si susseguono ininterrottamente senza soluzione di continuità). Tirando le somme, ‘Encyclia’ è la nostra ‘lettera’ di ribellione, come hai ben detto tu, e di protesta rivolta all’intera umanità, scritta con sentimenti di rabbia e disdegno. Ed è soprattutto contro aspetti deleteri quali principalmente le manipolazioni della religione e della politica, che cercano in ogni modo di condizionare l’uomo, che noi ci scagliamo con forza e cerchiamo, tramite le nostre composizioni, di dare un messaggio chiaro e piuttosto esplicito all’ascoltatore.

Puoi spiegarci la raffigurazione in copertina?

In copertina abbiamo deciso di inserire un’incisione raffigurante un papa, estrapolata dall’antico trattato ‘Liber Chronicarum’ stampato a Norimberga nell’anno 1493, che nel nostro caso specifico intende simboleggiare, in sintesi, le deleterie manipolazioni sia a livello religioso che politico-sociale da parte dei poteri forti a livello globale.

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Come si è svolta la registrazione dell’album? Vi siete rivolti a qualche esperto?

‘Encyclia’ è stato autoprodotto ed è il nostro primo lavoro contenente alcuni dei primi brani da noi composti. Riguardo all’aspetto più propriamente tecnico, l’EP è stato registrato interamente nella nostra sala prove da un tecnico specializzato, Rudy Mitrotti, nostro amico da anni ed ex batterista della band Cyber Thrash Metal chiamata BIOERASER; il mixing ed il mastering sono stati invece realizzati da Luciano Robibaro (membro delle band Buffalo Grillz, NINELEVEN e No More Lies) presso lo ‘HighWatHertz studio.’; infine per gli ultimi ritocchi, parliamo cioè del sound design, ci siamo rivolti al meticoloso lavoro di Francesco Cervellera, anche lui nostro caro amico e nostro attuale tecnico del suono durante i nostri concerti.

Cosa avete in programma adesso?

A grandi linee il progetto, in primo luogo, è quello di portare sicuramente ‘Encyclia’ in giro con varie situazioni, come possono essere festival o concerti più piccoli, ma anche quello di iniziare ad impostare un eventuale full, dato che in cantiere di brani finiti e rifiniti ne abbiamo parecchi; sperando inoltre di poter essere prodotti da qualche etichetta di nostro gradimento.

Avete qualche data live in progetto?

Di concerti ne abbiamo già un bel po’ in programma, ma sicuramente anche altre situazioni di vario genere non ti nascondo che si stanno già muovendo. Comunque sui nostri social è possibile trovare, in continuo aggiornamento, tutte le date confermate con gli eventi ufficiali.

Come da tradizione lascio a te la scelta di una canzone di tuo gradimento con cui chiudere l’intervista.

 Il mio omaggio, a nome anche di tutto il resto del gruppo, va ai grandiosi nostrani ‘The Secret’. Quindi concluderei dedicando a te, a tutti i nostri fans e a tutti i lettori di quest’intervista, ‘Where It Ends’!

 

 

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